
Ho appena terminato di leggere “The Design of Everyday Things” di Donald A. Norman (grazie ad un gentile omaggio di un utente di questa board 😉 ) e vorrei condividere con voi le mie impressioni.
Innanzitutto una doverosa premessa: il libro parla di design, di psicologia e di argomenti dei quali non posso reputarmi un esperto, quindi il mio giudizio potrebbe essere influenzato dalla mia inesperienza in questi campi.
The Design of Everyday Things
Donald A. Norman
MIT PRESS Edition
EUR 11,68
Cos’è “The Design of Everyday Things”? È un testo piuttosto vecchio, la sua prima edizione risale al 1988, scritto dal prof. Donald Norman, l’uomo universalmente riconosciuto come uno dei padri fondatori dell’interaction design.
In questo libro Norman espone con un linguaggio molto semplice i concetti che stanno alla base dei suoi studi, cioè l’interazione dell’uomo con gli oggetti più o meno complessi che lo circondano.
In poco più di 200 pagine l’autore tenta di spiegare perché l’uomo interagisce con oggetti diversi in modo diverso, perché un telefono può essere più complicato da usare di una macchina da scrivere, perché continuiamo a spingere le porte che vanno tirate e viceversa. Alcune volte durante la lettura del libro ho avuto l’impressione che il tutto nascesse da una difficoltà personale dell’autore nell’utilizzare certi oggetti ma ovviamente non è così, è il nostro cervello che funziona in modi ben precisi e sta al designer comprendere questi meccanismi e rivolgerli a proprio favore, se non lo fa o lo fa nel modo errato l’oggetto diventa difficile da utilizzare.
Chi ha già letto in passato qualcosa riguardante il design delle applicazioni (fossero anche le apple human guideline) ritroverà nel testo molte similitudini, anche se è bene specificare che in questo testo Norman non fai mai riferimenti espliciti alle interfacce digitali, ricordiamoci che è un testo del 1988!
Ad esempio tutti gli sviluppatori hanno ormai chiara la necessità di fornire un adeguato feedback all’utente, di vincolare il numero di scelte possibili alle sole scelte valide, mostrare lo stato del sistema, rendere trasparente il modello e la logica sottostante etc, quello che è sorprendente è notare che queste informazioni non nascono con il digitale, ma bensì stanno alla base di tutta la logica dell’interaction design perché anche una banale porta, se non progettata in modo da “suggerire” il corretto modo di utilizzo e “evitare” quelli errati può rappresentare una frustrazione.
Immaginate ad esempio una porta scorrevole dotata di uno di quei maniglioni antipanico…nessuno capirebbe che è una porta scorrevole, ma tutti proverebbero a spingerla.
Nel complesso la giudico quindi una lettura molto utile per tutti: sviluppatori, designer e anche semplici “uomini della strada” perché offre davvero un modo diverso di guardare gli oggetti di tutti i giorni e anche di guardare noi stessi con i nostri limiti, con la nostra necessità di schemi, di spiegazioni e di associazioni mentali. Ad esempio oggi ho scoperto l’esistenza qui a Milano di un biglietto per i mezzi pubblici valido il venerdì ed il sabato, si tratta di un biglietto cartaceo molto semplice, identico fronte e retro se non per un piccolo testo “Venerdì” da una parte e “Sabato” dall’altra, il biglietto deve essere timbrato come è facile intuire dalla parte del giorno corrente. Questo è ovviamente un caso di design errato perché è richiesta una specifica attenzione per utilizzare il giusto verso del biglietto, cosa non semplice se il passeggero ha una certa età, o il mezzo è affollato. Basterebbe usare due motivi molto diversi nei due lati del biglietto usando diversi colori e soprattutto usando del testo più visibile.
Una curiosità: nel testo si trovano alcuni riferimenti ai computer e al mondo digitale, ma poiché parliamo di roba scritta 25 anni fa sembra a dir poco assurda. Ad esempio l’autore cita come “novità per i prossimi anni” il concetto di ipertesto chiedendosi come un ipertesto possa in qualche modo favorire un’esperienza di lettura non lineare. In un altro capitolo l’autore descrive quello che per lui potrebbe essere il “calendario del futuro” ovvero un oggetto dove poter memorizzare i propri appuntamenti, essere avvisati se la data è già occupata, e sincronizzarsi con gli altri calendari di casa e dei familiari tramite un bus di comunicazione senza fili.
Parliamo del 1988 e Norman stava gettando le basi di iCal e iCloud. (e di altri mille sistemi analoghi) Ci sono voluti 25 anni affinché quello che lui aveva in mente potesse diventare realtà…chi adesso è in grado di pensare a qualcosa che vedrà la luce solo tra 25 anni?
Buona lettura!
One Response to “Donald A. Norman: The Design of Everyday Things”
29 Luglio 2013
AndreaL’ho letto anni fa e l’ho trovato illuminante, un altra lettura meravigliosa di quel genere è “Don’t let me think”.